Stai cadendo anche tu nelle sindromi al femminile?

Ne sono vittime tante donne, in diversi stadi della loro vita indipendentemente dalla loro razza, cultura, colore della pelle, religione ed età.
Sono tre le sindromi al femminile che emergono soprattutto in ambito lavorativo, ma anche in quello relazionale.
Essere consapevoli di queste trappole e saperle riconoscere è il primo passo verso la trasformazione e ci permette di superarle più in fretta.

Sono tratte dal mio ultimo libro Il potere del pensiero femminile (edizioni Sperling & Kupfer) e dalla mia esperienza con migliaia di donne che hanno partecipato ai miei corsi.

Vediamole insieme.

1. La sindrome dell’impostora
“Non ho fatto nulla di speciale”, “Poteva riuscirci chiunque”, “Non sono abbastanza brava”.
Vi suonano familiari queste frasi? Ve le ripetete spesso? Allora, anche voi come molte altre donne, siete vittime della sindrome dell’impostora.
La sindrome dell’impostora riguarda la fiducia in noi stesse e il non sentirci mai all’altezza della situazione. Se veniamo elogiate per i nostri risultati, invece di esserne gratificate, ci convinciamo di non aver poi fatto granché e che ci sarebbe riuscito chiunque.
Quando ci viene dato un riconoscimento pensiamo di non meritarlo. Quando riceviamo una promozione abbiamo paura di deludere.
Per poter esprimere le nostre potenzialità è necessario imparare ad avere fiducia in noi stesse.
Dobbiamo renderci conto che il pensiero «questa promozione non me la merito, prima o poi si accorgeranno che non valgo» è soltanto un condizionamento.

2. La sindrome della tiara
“Scusa se ti disturbo”, “Scusa lo so che sei impegnato”, “Scusa potresti per favore…”
La gentilezza è importante nelle relazioni, ma quante volte noi donne facciamo di tutto per mostrarci carine per paura di essere criticate, escluse o disapprovate (un concetto molto diverso dall’essere gentili per rispetto)?
Uno degli elementi che ci blocca è la paura: di non piacere, di non essere amate, di fare scelte sbagliate, di andare oltre le proprie capacità, di essere giudicate o criticate, di fallire.
Insomma, come scrive Sheryl Sandberg nel suo libro Fatevi avanti!, questa è la santissima trinità delle paure: la paura di essere una cattiva madre/moglie/ figlia.
Questo comportamento ci porta a lavorare come pazze, a testa bassa, e a sperare che qualcuno noti il nostro operato. Un giorno o l’altro qualcuno si accorgerà di ciò che sto facendo, pensiamo, e mi ricompenserà.
E quindi aspettiamo che qualcuno ci appoggi un diadema sul capo: ecco la sindrome della tiara!
Ma questo giorno potrebbe non arrivare mai. Occorre imparare a farsi avanti, soprattutto sul lavoro.
E magari abbinare alla gentilezza la determinazione e la tenacia.
Finché faticheremo a ricevere, tenderemo ad attrarre nella nostra vita persone che hanno problemi a dare. Il punto di partenza quindi è avere il coraggio di domandare. E concederci il permesso di ricevere.

3. La sindrome di Wonder Woman o l’autoflagellazione
Sempre più spesso i film e la pubblicità ci presentano una nuova immagine di donna: Wonder Woman, ovvero la superdonna libera e felice che gestisce (apparentemente) ogni cosa alla perfezione, a casa e al lavoro.
Questa immagine del femminile non solo porta una finta idea di progresso, ma purtroppo genera il mito della superdonna, come se non avessimo già abbastanza modelli impossibili a cui mirare.
Noi donne, pertanto, finiamo per credere che se non riusciamo anche noi a essere madri, figlie, partner, sorelle, amiche, lavoratrici perfette significa che stiamo sbagliando qualcosa o, peggio, siamo sbagliate. Ecco allora che parte l’autoflagellazione, la critica aspra verso noi stesse.
Ci guardiamo intorno e ci domandiamo: come fa la mia vicina ad avere un’ottima posizione, un appartamento in ordine, un marito amorevole, avere tempo di seguire i tre figli, meditare ogni giorno, leggere, fare ginnastica, aggiornarsi su ciò che accade nel mondo ed essere sempre perfetta? La verità è che non ci riesce!
Nessuna di noi, nel mondo reale, può avere tutto e fare tutto in maniera impeccabile.
Tanto vale accettarlo e fare il possibile con le risorse che abbiamo a disposizione. Non sarà perfetto, ma sarà il nostro meglio. E ogni tanto avremo bisogno di scendere a dei compromessi.
Alla base di questa trappola, c’è la convinzione che il nostro valore dipenda da ciò che facciamo, da quanto riusciamo a «produrre» (in genere per gli altri) in casa e al lavoro. Continueremo a fare senza sentirci mai soddisfatte. Ci sarà sempre qualcosa da completare o che avremmo potuto fare meglio.
Siccome questa è una trappola in cui tendo a cadere anch’io, a me giova ripetermi che sì, sono imperfetta e vulnerabile e a volte ho paura, ma questo non toglie che in alcuni momenti sono coraggiosa. E in ogni caso sono degna di essere amata per chi sono. Non per ciò che faccio.
Siamo tutti perfetti nelle nostre imperfezioni. Occorre anche ricordare che stiamo affrontando una maratona e non una 100 metri, per cui è importante ritagliarci degli attimi di piacere, riposo, nutrimento, in modo da rigenerarci con regolarità.
Così non ci perdiamo d’animo se siamo oberate di impegni che non riusciamo a onorare e le cose non vanno come vorremmo.

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